La Tempesta
Un classico è un testo che non smette mai di parlare, di comunicare, di suggerire. Un classico è anche un testo che offre molteplici possibilità di interpretazione o, nel caso di testi teatrali, di allestimento. La tempesta, l’ultimo capolavoro di William Shakespeare, risponde all’uno e all’altro requisito.
Tato Russo, regista e interprete shakespeariano, sceglie di sottolineare entrambi gli aspetti dell’opera: la polisemicità testuale va dunque di pari passo con la spettacolarità e l’autore, il regista e l’attore si identificano in un unico ed unitario artefice.
Il Bardo, nel raccontare la storia di Prospero, il mago italiano in esilio con la figlia su un’isola misteriosa, intendeva richiamare l’attenzione su alcuni punti essenziali del dibattito culturale del suo tempo: il colonialismo, il potere politico, la rivoluzione scientifica. Il tutto organizzato su un’intelaiatura rigida e precisa, in grado di mettere insieme serio e faceto, farsa e dramma, lirismo e elegia.
Tato Russo non si lascia sfuggire le componenti di questa complessa polifonia, che racchiude nell’unico spazio di un’isola senza tempo e senza contorni. Eliminati tutti gli episodi che si svolgono sulla nave, l’azione si sviluppa in un unico luogo astratto e irreale, spazio della mente e della fantasia in cui tutto può accadere. Si discute tanto delle fonti dell’opera, si discute sugli infiniti e possibili modi di leggere il testo. Grande racconto del sogno e del teatro, La tempesta è anzitutto metafora del mondo, del mondo che cambia e che si ripete continuamente uguale a sé stesso. Tutto torna alla propria origine, tutto torna al proprio principio, e lo stesso Prospero spezzerà la bacchetta magica per rinunciare per sempre ai suoi poteri.
Tato Russo sceglie di ricreare questa ambientazione in precario equilibrio fra realtà e fantasia. Le sue scenografie sono l’apoteosi dell’arte al servizio dello spettacolo: la macchina teatrale rivela i propri mezzi, le proprie strutture, la propria finzione per raggiungere il massimo grado di magia. Il risultato è uno spettacolo di grande impatto, con gli effetti speciali a disposizione dello spettatore e schiere di spiriti ballerini che riempiono il palcoscenico e volteggiano nell’aria. Il fascino del circo coniugato con quello dei tableaux vivants e della lampada magica, con un effetto suggestivo e, in taluni momenti, di felliniana memoria. Gli stessi costumi si prestano al gioco dell’interpretazione, con la contrapposizione cromatica fra il bianco dei personaggi e il nero del protagonisti e con la metamorfosi dei governanti in enormi pedine sullo scacchiere del mago.
La tempesta si trasforma così attraverso l’allestimento, la luce, i costumi e la complessità della macchina teatrale, in un grande gioco allusivo e allegorico, in cui tuttavia l’elemento scenico rischia talvolta di mettere in secondo piano gli interpreti.