Wagner Transformed, frutto della ricerca di J. Peter Schwalm

Intervista a J. Peter Schwalm “The Dark Side” of Richard Wagner

Il 43enne musicista e produttore elettronico, collaboratore abituale di Brian Eno, in scena al Teatro Mercadante di Napoli con una delle sue riletture estrose del compositore.
L’intervista di ALFREDO D’AGNESE

Intervista a J. Peter Schwalm

NAPOLI – “The Dark Side” of Richard Wagner: sembra un gioco di parole, invece è il frutto della ricerca di J. Peter Schwalm sull’opera del compositore romantico. Il 43 enne musicista e produttore elettronico ha da poco pubblicato un album, “Wagner Transformed“, nel quale rielabora, rilegge e riduce in frammenti Parsifal, Tannhauser,Siegfried, Tristano e Isotta. Un’operazione ardita che Schwalm eseguirà per la prima volta dal vivo venerdì 20 dicembre al teatro Mercadante di Napoli nell’ambito della rassegna “Angeli Musicanti“. Non è la prima volta che il musicista si imbatte nelle partiture del maestro romantico. Già nel 2006 era stato coinvolto in un progetto simile, “Wagner reloaded”.
Lontano dalle grandi case discografiche, il musicista è conosciuto dal pubblico della ambient music per le sue collaborazioni con Brian Eno. Un sodalizio che prosegue anche nel nuovo album con una versione remix di “Tristano e Isotta: Blue, Brown and Green”. “Io e Brian ci incontriamo di tanto in tanto  –  esordisce -. Quando abbiamo tempo lavoriamo sempre a nuovi progetti. Dopo Drawn From Life (album prodotto insieme nel 2001) non ci siamo persi di vista, ma abbiamo continuato a sviluppare idee su installazioni e colonne sonore. Stavolta mi ha dato una mano a rendere in modo ambient alcuni passaggi di ‘Tristano e Isotta’”.

Com’è nata l’idea di rendere omaggio a Wagner?

“Volevo realizzare un progetto di musica contemporanea utilizzando gli elementi della musica di Wagner che funzionassero in chiave moderna. La sua opera ha ancora un fascino immenso ed è viva. Sono andato alla ricerca dei lati più oscuri e dei sentimenti malinconici che pervadono capolavori come Tannhauser e li ho riprodotti in modo minimale. Ho scoperto affinità interessanti tra il Parsifal’ e la musica ripetitiva. Ho lavorato sugli spazi e sui vuoti per ottenere un suono simile a quello di una piccola orchestra da camera del presente”.

Gran parte dei musicisti pop si avvicinano alla classica con un senso di deferenza: qual è stato il suo approccio?

“Non ho mai pensato di stravolgere queste opere e allo stesso tempo non aveva senso una registrazione simile agli originali. Ho provato a ricreare la loro architettura come se si trattasse di paesaggi musicali dei nostri giorni. Musicalmente sono lontano dal movimento krautrock degli anni ’70, mi sono formato con il jazz e la musica colta. Così ho seguito la  mia sensibilità, riducendo i brani all’essenziale, cercando di esaltarne la profondità emotiva. Spero di esservi riuscito”.

Il 24 gennaio gli Icebreaker presenteranno al Museo della Scienza di Londra un’altra sua rielaborazione, Kraftwerk Uncovered. Che rapporto c’è tra i due lavori?

“Molto poco. Sono figli di due filosofie diverse. Quando mi hanno chiesto di lavorare alle composizioni dei Kraftwerk sono stato attratto dalla possibilità di lavorare con il materiale di questi pionieri della tecnologia. Non è stato facile in tre mesi rielaborare le loro canzoni e sintetizzarle in 40 minuti usando nuovi strumenti. Campionamenti e trucchi digitali sonio stati utili per esaltare l’evoluzione elettronica della loro musica. Con Wagner ho fatto un’operazione diversa, smontando le sue opere, analizzandole e rimontandole seguendo aspetti poco conosciuti della sua personalità”.

Pensa che il futuro della musica sia nella rielaborazione delle opere del passato?

“Quello che sto realizzando è mettere la musica in una prospettiva differente, rendere pezzi di passato attuali e interessanti per le giovani generazioni. La nuova musica spesso rielabora brani che già esistono. Pensi a quello che ha fatto il rap negli ultimi anni. Ma non bisogna smettere di cercare altre forme, di sperimentare strade inedite o poco battute”.

Lo streaming è l’ultima frontiera della distribuzione musicale. Qual è il suo parere sui cambiamenti del mercato discografico?

“Sono dalla parte di David Byrne e dei Radiohead quando affermano che Spotify sta facendo un danno agli artisti. La musica in fitto forse sarà il futuro del consumo musicale. Ma non è una buona cosa per i musicisti, soprattutto per quelli giovani e ancora alle prime armi. Le playlist non sono il futuro dell’arte”.