Gli stati generali della Cultura 2022
Si sono svolti a Torino lo scorso 5 luglio gli “Stati Generali della Cultura”, curati dal “Sole24ore” e ospitati dal “Museo del Risorgimento” del capoluogo piemontese.
La presenza di numerosissimi esponenti di spicco del nostro mondo culturale, economico e politico sottolinea la rinnovata attenzione dedicata a quella che è oggettivamente una delle più importanti ricchezze italiane, intendendo per questo non unicamente i suoi aspetti immateriali – impareggiabili – ma anche, finalmente, la possibilità di ricavarne ricchezza materiale, in termini di sviluppo economico, fonti di reddito, occupazione e, non ultimo, PIL.
La stagione dei tagli, simboleggiata dalla discutibile frase “con la cultura non si mangia”, è dunque alle spalle, come sottolineato dal ministro Franceschini, il cui intervento ha inaugurato la kermesse torinese, che ha rimarcato come gli investimenti nella cultura sono un grande volano economico e come i 7 miliardi di provenienza PNRR destinati alla cultura saranno utilizzati, tra l’altro, per un grande piano piano di digitalizzazione di tutto il patrimonio culturale e alla creazione di una digital library italiana.
L’eliminazione delle barriere architettoniche ancora esistenti nei musei e la regolamentazione e il controllo degli accessi per scongiurare il fenomeno dell’overbooking, saranno un altro obiettivo, insieme al recupero dei tanti borghi che si stanno spopolando, ma che oggi possono trarre grandi vantaggi non solo dal miliardo di Euro a questo fine stanziato, ma anche dalla diffusione della banda larga e dello smart working.
I lavori necessari partiranno anche prima della fine dell’anno, ha continuato il ministro, perché i tempi da rispettare sono perentori e il rischio da scongiurare è la perdita dei finanziamenti europei.
Franceschini ha inoltre ricordato il successo della riforma da lui promossa che reso autonomi i musei. Fino al 2014 i musei italiani non esistevano giuridicamente ed erano diretti da funzionari delle sovrintendenze. Non avevano un bilancio, né un cda, né un comitato scientifico. I ricavi erano attribuiti al Ministero dell’Economia. Da quando invece hanno un bilancio proprio, i proventi restano al museo stesso. E i risultati si sono visti: sono cresciuti bookshop, luoghi di lettura, bar e tanti altri servizi, “perché oggi in un museo non si va più solo per vedere un’opera d’arte, si va per vivere un’esperienza e passare una giornata” e aggiunge il ministro “con i proventi dei grandi musei finanzieremo l’innovazione nei musei minori”.
Per realizzare tutto questo sarà anche necessaria un’integrazione tra pubblico e privato e i privati, ha proseguito Franceschini, non devono mettere solo soldi, ma anche collaborare nella gestione. Molti musei già collaborano con privati e hanno privati nei consigli di amministrazione.
Il tema della collaborazione tra pubblico e privato ha dato luogo anche a un vivace confronto tra Massimo Osanna, direttore generale Musei, ente che coordina le politiche di gestione, fruizione e comunicazione dei musei statali, e Luigi Abete, presidente dell’Associazione imprese culturali e creative. Osanna ha sostenuto che le impostazioni della legge Ronchey del 1993, che permetteva ai privati di gestire i musei in concessione, non è più attuale e il modello da seguire è il partenariato tra pubblico e privato previsto dal Codice degli appalti e che si configura come un rapporto di collaborazione tra questi attori. A tale riguardo ha paradigmaticamente citato l’esempio della Piscina Mirabilis, inserita nel Parco Archeologico dei Campi Flegrei, la cui gestione è stata affidata a partner privati, attori culturali del territorio flegreo.
Abete, invece, ha lamentato l’assenza della parola “imprese” nella ricostruzione ministeriale, che parla genericamente di “privati” e mai, appunto, di “imprese”. Il privato, ha sostenuto Abete, riferendosi anche alle parole del ministro Franceschini, è inteso come terzo settore, come Fondazioni e come no profit. Le imprese sono viste nei progetti culturali come mera fonte di finanziamenti, senza considerare la loro capacità di progettazione. Ciò che auspica Abete, in contrapposizione al partenariato, è la creazione di joint ventures tra istituzioni pubbliche e imprese.
La breve, seppur accesa, discussione non ha oscurato, però, la netta percezione di un mondo in grande fermento e teso al raggiungimento di obiettivi ambiziosi. Particolarmente significativi gli interventi di Matteo Bagnasco e Innocenzo Cipolletta. Il primo, responsabile di Obiettivo Cultura Fondazione Compagnia di San Paolo, si è soffermato sulla costruzione e proposta di modelli di intervento posti in essere dalla Fondazione da lui rappresentata e costituiti da piani di innovazione digitale, di allargamento della base sociale che partecipa alla vita culturale, di educazione alla cultura nel sistema educativo e di tutela del patrimonio mediante programmazione e manutenzione preventiva, con grande supporto della tecnologia. Cipolletta, presidente di Confindustria Cultura Italia, ha tra l’altro confermato come le nuove tecnologie siano fortemente penetrate nel mondo della cultura e di come si stia cercando di individuare le professioni portanti alla base di questa evoluzione.
La vitalità del settore culturale ha trovato ulteriore conferma negli interventi di Evelina Christillin, presidente della Fondazione Museo delle antichità Egizie di Torino; di Carolyn Christov-Bakargien, direttrice del Museo del Castello di Rivoli; Giovanna Melandri, presidente della Fondazione Maxxi di Roma; Enzo Ghigo, presidente del Museo del Cinema di Torino e Domenico Piraina, direttore di Palazzo Reale e dei musei scientifici di Milano, i quali tutti hanno illustrato le numerose iniziative intraprese e che presto arricchiranno l’offerta culturale italiana.
In rappresentanza del Mezzogiorno sono intervenuti Gabriel Zuchtriegel, direttore generale del Parco Archeologico di Pompei e Anthony Muroni, presidente Fondazione Mont’e Prama, di recente costituzione, che ha riferito dell’interesse suscitato dalle immagini degli enormi guerrieri di pietra, bardati di scudo e con gli enormi occhi sbarrati, nelle ambasciate e consolati italiani all’estero, da Washington, a Miami e a San Pietroburgo, presso cui sono stati presentati in attesa di poterli ammirare nella loro collocazione nel museo di Cabras.
Zuchtriegel ha voluto, invece, rimarcare la forte spinta al radicamento del Parco nel territorio e a scopo esplicativo ha raccontato la vicenda del percorso virtuoso compiuto da un ragazzo del luogo, passato dalla cupa rassegnazione alla scoperta di un mondo fortemente intrecciato con la sua terra, grazie a un programma teatrale per adolescenti promosso dal Parco, che gli ha trasmesso nuove motivazioni e lo cambiato in positivo. “E’ l’idea stessa che noi abbiamo oggi del museo e del Parco Archeologico a essere cambiata. Sono diventati dei luoghi di aggregazione e di incontro della comunità” – conferma Zuchtriegel, che infine conclude – “E anche chi viene da fuori vede che Pompei non è una specie di Disneyland, una bomboniera in un contesto difficile. Non è un’isola calata in questo territorio, ma è un qualcosa che si integra con il contesto”.
di Walter Minucci
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